giovedì, aprile 10

Film visti - Aprile (I° parte)


Titolo: Complicità e sospetti

Genere:
Drammatico
Distribuzione:
Buena Vista

Trama Film:
Will (Jude Law) e Sandy (Martin Freeman), amici e architetti, trasferiscono il loro studio nella zona di King’s Cross a Londra. Proprio nei primi giorni, subiscono ripetuti furti a opera di una coppia di giovani ladruncoli. La piccola criminalità sarà il pretesto per un viaggio nella realtà multietnica della città, e dell'influenza che ha sulle relazioni sociali, sulla famiglia, sull’amore. C’è qualcosa di stucchevole nel cinema di Anthony Minghella. Difficile dire se sia l’espressione sul filo del pubblicitario, l’attrazione per il bello (siano essi luoghi o persone), o i sentimentalismi old style. In questa Londra, che è anche la città in cui vive, di certo la sua forma stilistica si trova perfettamente a proprio agio. Le case popolari, infatti, non si allontanano molto dalle perfezioni geometriche dei loft, cambia solo l’interpretazione degli interni, caotici o minimalisti, sempre comunque fotografati con perfezione estetica. In un mondo siffatto, i personaggi sono estremamente caratterizzati. Jude Law, è dandy e trasandato, insicuro ricercatore delle emozioni perdute; Robin Wright Penn, ha origini nordiche che si sciolgono solo di fronte alla figlia tredicenne; Juliette Binoche, è una donna slava, espressione di un passato di sofferenza e guerra. Tutti si muovono a King’s Cross fra assenza di responsabilità e paura di amare, schiavi della routine o delle condizioni, alla ricerca di passioni dimenticate, più che di sentimenti veri. L’essenza delle relazioni per Minghella è ancora nella pura forma. Gli interpreti si comportano di conseguenza e, superando le classi sociali, la bellezza trionfa, in ricchezza e in povertà (Juliette Binoche, di madre lingua francese, è poco credibile nel recitare in inglese con accento bosniaco). Sotto questa patina, l’unica profondità che se ne trae è l’amara solitudine, onnipresente, di una società complessa alla perenne ricerca di amori irresponsabili.

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Recensione

Voto: 3,25/5!

**

Titolo: Lezioni di Volo

Genere: Drammatico
Distribuzione: 01

Trama film:
Pollo e Curry hanno diciotto anni e poca voglia di impegnarsi a scuola e nella vita. Pollo è ebreo e figlio di un padre intransigente e una madre svampita. Curry è indiano e figlio adottivo di una psicologa emotiva e di un giornalista fedifrago. Bocciati alla maturità partono in vacanza "premio" per l'India dove, fuori dai circuiti turistici, incontreranno Chiara, ginecologa di una Onlus internazionale. Nel deserto del Thar proveranno finalmente interesse per la vita: Pollo si innamorerà di Chiara e del suo coraggio, Curry cercherà la madre naturale e le sue origini. Torneranno a casa e all'occidente col "brevetto di volo". Se l'ultimo film di Francesca Archibugi non aggiunge molto alla sua poetica dell'adolescenza, aggiornata al 2007 e ai suoi giovani con nessuna pretesa di cambiare il mondo in cui vivono, non manca di stupire perché sembra l'unico rimasto a raccontare con credibilità i ragazzi e tutto ciò che li riguarda: i gesti, il gergo e quel misto adolescenziale di vulnerabilità e sfacciataggine. Lontani da esami "mondiali" di maturità e da amori per sempre sul Ponte Milvio, lontani dall'essere intraprendenti e "fichi" dentro un filmetto di formazione che ripensa ai "migliori anni della nostra vita", i due protagonisti a lezioni di volo sono normali, prematuri e bocciati, sono ragazzi a cui bisogna dare tempo e respiro per scoprire chi sono. Archibugi torna a fissare sulla pellicola i cicli di crescita dei figli e quelli di appassimento dei genitori. Genitori ribelli e disillusi, che si misuravano coi grandi temi sociali e politici, hanno generato figli sommessi e immaturi, che si chiedono poco o nulla, difficili da lasciare andare per paura della solitudine o per paura che si facciano troppo male. Figli inconcludenti che la regista osserva senza giudicare, cercando di comprenderne il mondo. Figli che provano a crescere lontani da famiglie affettive che evitano i contrasti e che li tengono al riparo da tutto, soprattutto dalla vita. Nel cuore materno e pulsante dell'India c'è una giovane donna "normativa" che insegnerà loro regole e responsabilità, il gusto delle grandi sfide e la fatica della competizione. Archibugi riconferma i modi della commedia per trovare un respiro quotidiano a una storia di amori e dolori giovanili, di ragazzi che si sentono drammaticamente superflui e inadeguati ad affrontare i mali della crescita, che arriverà senza clamori sui tetti di Roma, centro storico prima circoscrizione. La lievità della Archibugi sostiene ancora una volta la concretezza della materia scelta: i ragazzi e il loro compito generazionale. Bentornata.


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Voto: 3,5
/5!

**

Titolo: Il piacere e l'amore

Genere: Drammatico
Distribuzione: Bim

Trama film:
ll titolo italiano della BIM è improprio e fintamente colto: in turco Iklimler significa i climi. Si comincia in estate sotto il sole mediterraneo con una coppia che si separa. Lui, Isa, insegna architettura all'università; lei, Bahar, di circa vent'anni più giovane, fa la segretaria di produzione in TV. Disamore? Incomunicabilità? Insoddisfazione? Nessuna spiegazione, ma si tende a dare ragione a lei che perlomeno è enigmatica. Si finisce tra il freddo dei monti innevati dell'Anatolia con un tentativo di riconquista, patetico più che sincero, da parte di lui che le assicura di essere cambiato. Due stagioni e tre movimenti. In mezzo c'è la vita annuale e banale a Istanbul in cui Isa si fa facilmente sedurre da una spregiudicata ex amante. Il lirismo chirurgico di N.B. Ceylan – che, tra un film e l'altro, campa come fotografo – lascia il posto alla routine della prosa, se non fosse per il lungo piano-sequenza del ferino accoppiamento carnale con le noccioline che passerà nelle future antologie dell'erotismo audiovisivo. Più che in Uzak (2003), c'è il sospetto che il 4° di Ceylan sia un “film da festival”. Girato in digitale; telecamera quasi sempre ferma; raffinata precisione nei pittorici campi lunghi; una storia dove “non succede niente”; dialoghi compressi al minimo; velati suggerimenti di autobiografismo. Per la prima volta – e l'ultima, soggiunge, ma potrebbe cambiare idea – l'autore fa anche il protagonista e dà spazio alla moglie Ebru, permettendo ai critici formalisti stregati di definirlo un film turco “diverso” e di citare Bresson (per la colona sonora, accuratissima nei rumori), Kiarostami, Ozu, Bergman, Tsai Ming Liang e, ovviamente, Antonioni. Gli spettatori maturi affetti da cervicale tengano d'occhio i cassetti degli alberghi cui Isa ricorre per ficcarci il collo.

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Voto: 1,50/5!

**

Titolo: The Illusionist - L'illusionista

Genere: Fantastico
Distribuzione:
Eagle Pictures


Trama film:
Nella Vienna dell'ultimo '800 gli spettacoli dell'illusionista Eisenheim hanno un tale successo da attirare il principe Leopoldo con la sua promessa sposa, la duchessa Sophie, e da suscitare l'interesse investigativo dell'ispettore di polizia Uhl. Eisenheim riconosce in Sophie la giovane di cui da adolescente s'era innamorato. Tra i due l'amore rinasce, provocando la gelosia violenta del principe che la ferisce gravemente, nascondendo il misfatto. Alcuni indizi e le apparizioni fantasmatiche di Sophie durante gli spettacoli aiutano Uhl a identificare il colpevole. Il principe si dà la morte. Eisenheim è allontanato da Vienna, ma lascia a Uhl indizi per scoprire che la donna è viva, complice di una messinscena. Come già Scoop di W. Allen e The Prestige di C. Nolan, usciti nella stagione 2006-07, il 2°
film di Burger racconta il rapporto tra realtà e illusione. La sua sceneggiatura si basa sul racconto Eisenheim the Illusionist di Steven Millhauser, ispirato a Erik Jan Hanussen, mago e veggente viennese, ucciso da un sicario nel 1933 per aver profetizzato la fine del Terzo Reich (La notte del maghi - Hanussen 1988, di I. Szabó con K. M. Brandauer, ne racconta la storia). Quello di Burger è un film riuscito a metà. Il contesto (Vienna, la magia e le macchine) è superiore alla messa in scena della storia in cui conta il rapporto tra Eisenheim (E. Norton) e Uhl (P. Giamatti), ma non la storia d'amore. Fotografia: Dick Pope. Musiche: Philip Glass.

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Recensione

Voto:
2,75
/5!

**


Titolo: Il diario di una tata

Genere:
Commedia
Distribuzione:
01


Trama film:
Annie Braddock (Scarlett Johansson) è una ragazza appena laureata in cerca di lavoro. Alcuni colloqui fallimentari presso importanti società newyorkesi le fanno perdere la fiducia in se stessa, ma un incontro imprevisto con un bambino dell'Upper East Side, le cambia la vita.
Il rischio che il film si trasformi in una narrazione del rapporto fra una tata e le marachelle di una piccola peste, sono concrete. La divertente e realistica interpretazione della Johansson, nella figura di tata e soprattutto di osservatrice-antropologa delle abitudini malsane della borghesia della grande mela, mantengono però il tono intelligente della commedia. È quindi questo equilibrio fra ironia (Annie non ha esperienza coi bambini ed è impacciata e maldestra) e analisi sociale che, almeno per la prima metà riesce, senza falsi sentimentalismi a sostenere un film che per molti versi è deludente. Le interpretazioni sono tutte notevoli, compreso il ricco padre di famiglia affidato a un sempre bravo Paul Giamatti, la messa in scena è invece classica e ricade nella seconda parte in alcune situazioni scontate e prevedibili, indotte dagli stereotipi del caso. La madre borghese che non si cura del figlio e pensa solo a se stessa e al suo esternarsi in una "high society" che impone alcune ritualità precise; il marito dedicato al puro business che coltiva relazioni extra coniugali con le segretarie del caso; la stessa tata di origini di provincia che si sfoga in critiche nei confronti di genitori inghiottiti dalla frenesia da metropoli. Ne esce fuori un film che è un ibrido di socio-critica e commedia famigliare, che avrebbe potuto ambire a risultati migliori. Resta il fatto che non ci si può lamentare se i propri figli, oggigiorno, hanno rapporti conflittuali con i genitori.

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Recensione

Voto:
2,25
/5!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma i voti sono su base??? 2,75 è un bel voto o è simile ai voti delle mie versioni di latino al liceo??? The Illusionist è bellissimo!!! :p

'mpargia ha detto...

*umpf!*

I voti sono su base 5! I dizionari dei film, dal Morandini al Mereghetti sono tutti in base 5!

E poi non batterai mai il mio 1+ preso nella versione di latino >.>

Disclaimer: le righe successive contengono contenuti sul finale del film!
In quanto a Illusionist ho capito il finale dalla scena in cui la figura di lei è stata evocata sul palco.
D'altra parte il regista non lascia trasparire che lui abbia poteri soprannaturali, quindi pensare che lei fosse ancora viva e che fosse tutta una montatura volutamente organizzata è stato automatico. Uffi! :/